In questa opera descritta con visionarietà dal talento pittorico di Ross, gli eroi sono visti come divinità che la gente comune teme o adora a seconda del momento. E come divinità sono distanti dall’uomo, che diventa mero osservatore, passivo fruitore delle loro gesta. Se da un lato il fumetto mette in luce il bisogno che il genere supereroistico ha di mostrare il “sense of wonder”, il senso di meraviglia che animava le prime serie e che permetteva al lettore di osservare le tavole sognando a bocca aperta, d’altro canto mostra l’insensatezza della mistificazione che si presentava in quegli albi.
Infatti il lettore, come il protagonista narrante, si sente inutile, una formica in un mondo pieno di giganti. Colossi, dei, che tra l’altro non sono sempre in grado di salvare e proteggere gli innocenti mortali. Questa sensazione, immancabilmente, spinge ad una presa di coscienza, ed allontana il lettore dalla fiducia cieca nell’eroe che tutto può e che tutto sa. Esemplificativa in questo senso è la scena in cui il fotografo, dopo aver fatto amicizia con Gwen Stacy ne assiste alla morte. Sheldon è convinto fino all’ultimo che l’Arrampicamuri riuscirà a salvarla. Ma la sua convinzione è errata, e sarà delusa. La sua disperazione per l’accaduto è l’eco di quella che prova l’Uomo Ragno, e che ne cambierà l’esistenza. Ed è la disperazione che il lettore ha avvertito all’epoca dell’uscita dell’albo in cui si presenziò a questo significativo lutto. La prima morte eccellente di un personaggio di primo piano nell’universo Marvel. La prima volta in cui l’eroe del fumetto si scontrò in modo significativo con la morte, in cui venne messa in dubbio, in modo vero, definitivo, la sua invincibilità. E proprio perché eco di queste sensazioni, di queste intuizioni, questa scena ne amplifica la portata, mostrando la dicotomia dell’eroe del fumetto attuale, diviso tra la meraviglia dei primi titani e l’impotenza dell’eroe stanco e sconfitto, molto simile al problematico eroe del novecento letterario, che sconvolge e infastidisce il lettore, incapace di godersi tranquillamente l’appagante mistificazione che un tempo gli era somministrata e allo stesso tempo stanco di eroi incapaci di consolare.
(continua…)