lunedì 11 gennaio 2010

Wanted, ovvero quando la palla passa al cattivo - 2

Passano circa vent’anni e appaiono i protagonisti di Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons. In questa graphic novel, infatti, troviamo eroi stanchi, che non hanno più voglia di lottare, eroi che hanno capito l’insensatezza del loro compito e dell’esistenza umana.

Troviamo eroi che non sono altro che psicopatici incapaci di avere una vita normale, insomma siamo di fronte alla degenerazione dei paladini che il fumetto americano è solito mostrarci: la crisi definitiva. L’eroe patriota, incarnato nella storia del fumetto da Capitan America, ad esempio, in questa graphic novel, risulta essere un fanatico psicotico e fascista. Il giustiziere, Rorschach, è un pazzo mediamente incapace, così lontano dalla perfezione paranoica di Batman o dalla lucida follia del Punitore da risultare a di poco sconcertante. Eppure manca ancora qualcosa… Non siamo ancora liberi dall’immagine dell’eroe che da sempre ci accompagna.

Proseguiamo quindi nella storia del fumetto, e vediamo come le case editrici di successo sono riuscite a controbattere a questi eroi stanchi. Uno dei tentativi meglio riusciti, a mio parere, ad opera della casa editrice Marvel, è la graphic novel Marvels, di Kurt Busiek e Alex Ross, che sposta nettamente il punto di vista da cui le vicende sono narrate, facendolo coincidere con quello del “normalissimo” fotografo Phil Sheldon.

In questa opera descritta con visionarietà dal talento pittorico di Ross, gli eroi sono visti come divinità che la gente comune teme o adora a seconda del momento. E come divinità sono distanti dall’uomo, che diventa mero osservatore, passivo fruitore delle loro gesta. Se da un lato il fumetto mette in luce il bisogno che il genere supereroistico ha di mostrare il “sense of wonder”, il senso di meraviglia che animava le prime serie e che permetteva al lettore di osservare le tavole sognando a bocca aperta, d’altro canto mostra l’insensatezza della mistificazione che si presentava in quegli albi.

Infatti il lettore, come il protagonista narrante, si sente inutile, una formica in un mondo pieno di giganti. Colossi, dei, che tra l’altro non sono sempre in grado di salvare e proteggere gli innocenti mortali. Questa sensazione, immancabilmente, spinge ad una presa di coscienza, ed allontana il lettore dalla fiducia cieca nell’eroe che tutto può e che tutto sa. Esemplificativa in questo senso è la scena in cui il fotografo, dopo aver fatto amicizia con Gwen Stacy ne assiste alla morte. Sheldon è convinto fino all’ultimo che l’Arrampicamuri riuscirà a salvarla. Ma la sua convinzione è errata, e sarà delusa. La sua disperazione per l’accaduto è l’eco di quella che prova l’Uomo Ragno, e che ne cambierà l’esistenza. Ed è la disperazione che il lettore ha avvertito all’epoca dell’uscita dell’albo in cui si presenziò a questo significativo lutto. La prima morte eccellente di un personaggio di primo piano nell’universo Marvel. La prima volta in cui l’eroe del fumetto si scontrò in modo significativo con la morte, in cui venne messa in dubbio, in modo vero, definitivo, la sua invincibilità. E proprio perché eco di queste sensazioni, di queste intuizioni, questa scena ne amplifica la portata, mostrando la dicotomia dell’eroe del fumetto attuale, diviso tra la meraviglia dei primi titani e l’impotenza dell’eroe stanco e sconfitto, molto simile al problematico eroe del novecento letterario, che sconvolge e infastidisce il lettore, incapace di godersi tranquillamente l’appagante mistificazione che un tempo gli era somministrata e allo stesso tempo stanco di eroi incapaci di consolare.

(continua…)