E se il re non tornasse? E se l’eroe del fumetto non fosse riuscito a ritrovarsi dopo la crisi? Allora assisteremmo ad una raggelante resa del mito di fronte alla realtà. Assisteremmo alla fine del fumetto, alla sconfitta di quest’arte sequenziale volta all’intrattenimento? Il fumetto sarebbe forse inutile, dannoso? È quanto si evince dal volume Wanted, non caso scritto dal profetico Mark Millar per lo studio Top Cow di Marc Silvestri, caso più unico che raro nel panorama mondiale. La storia narra di un giovane, Wesley Gibson, perfettamente integrato nella società consumistica del giorno d’oggi, felice per il suo megaschermo al plasma e appena consapevole dell’infedeltà della fidanzata. Questo personaggio assomiglia in modo evidente al protagonista di “Fight Club” di Chuck Palahniuk. E proprio come il suo gemello letterario la sua vita sarà completamente sconvolta. Non a causa di una doppia personalità paranoica e ribelle pronta a mettere a ferro e fuoco il sistema del capitale bensì grazie all’eredità del padre. Non si tratta però neppure di un lascito in denaro che il buon figliolo utilizza per il bene dell’umanità.
Si tratta della consapevolezza.
Il buon padre morto e prodigo di lasciti era in realtà un supercriminale, il Killer con la K maiuscola, eletto di una razza vincente di dei malvagi che da tempo hanno spazzato via gli eroi che a loro si opponevano, addirittura relegandone la memoria, grazie a dispositivi ipnotici con cui tengono in scacco le menti mortali, proprio nei fumetti. E una volta compreso che l’ultimo respiro era prossimo ha decretato che il figlio degenere ne prendesse il posto. Ne deriva un lungo periodo di addestramento quale supercriminale in cui il nostro Antieroe deve per prima cosa imparare ad essere libero dai condizionamenti della società civile che lo hanno reso una pecora del branco. Deve gettare le remore morali e i limiti auto imposti per arrivare alla vera eredità: la libertà.
E se durante la lettura del fumetto si ride e ci si diverte per la follia propria delle tavole, sfogando l’Es e la sua violenza repressa godendo delle malefatte liberatorie, felici di poter tifare per il cattivo, come del resto faceva il lettore del romanzo d’appendice dell’ottocento, le ultime parole presenti nell’ultima tavola gettano una nuova ombra sull’eroe del fumetto e sulla sua funzione, tornando ad aprire il dibattito, tornando a generare quei dubbi che hanno alimentato la ricerca, l’elaborazione di tale figura:
Contenti? Felici […] che il vostro eroe abbia avuto la ragazza, i soldi, e che alla fine della storia sia uno dei padroni segreti del mondo? Dio che coglioni che siete, e parlo per esperienza. Mi sembra ieri che ero al vostro livello, patetico quanto voi. Perché dovrebbe fregarvi di come va la vita a me? Voi vi ammazzate di lavoro dodici ore al giorno, ingrassando per le porcherie che mangiate, e quasi certamente la vostra ragazza si scopa qualcun’altro. Solo perché avete una Tv al plasma e un sacco di Dvd non significa che siete liberi, cazzoni. Siete solo schiavi ben pagati come tutte le alte pecore là fuori. Anche questo fumetto non è che una vacanza di un quarto d’ora dalla vostra vita di servi. Pensavate che il mondo fosse sempre stato così, vero? Guerre, carestie, terrorismo ed elezioni truccate. Ma ora sapete che non è così. Ora sapete cos’è successo ai supereroi. E sapete la cosa buffa? E sapete che cosa mi fa ridere ora che sono dall’altra parte? Che chiuderete questo albo e vi comprerete qualcos’altro per riempire il vuoto che abbiamo creato nelle vostre vite. E questa è la mia faccia mentre ve lo sto mettendo nel culo.
Uno schiaffo, una doccia fredda “alla faccia” della mistificazione. Se l’eroe non è in grado di ritrovare il suo posto nel mondo del fumetto allora toccherà al “cattivo”, al “Villain” prendere il suo posto quale mitica guida, figura che svela il mondo. E i suoi metodi sono decisamente più spiccioli, e tragicamente più efficaci.
Ora ci siamo.