Credo che per chi come me ha divorato fin da piccolo tonnellate di fumetti americani, arrivare a pubblicare per case editrici che come Marvel e DC sono colonne portanti della scena fumettistica mondiale, sia davvero una sensazione impagabile. Lo stesso ovviamente accade a chi inizia a collaborare con qualsiasi casa editrice, anche italiana per intenderci, di cui sia stato a suo tempo un lettore, ma con gli Americani questo si verificava molto più raramente. Fino a qualche anno fa infatti gli autori nostrani che fossero riusciti ad attivare un rapporto di collaborazione oltreoceano si contavano sulle dita di una mano. Poi la tecnologia e l’evolversi di una scena autoctona, che si è dimostrata negli anni professionale e di successo, hanno decisamente cambiato in meglio la situazione, e ora le prospettive di lavoro “americane” sono molto più elevate di quanto non lo fossero dieci anni fa, quando, per fare un esempio, ho iniziato io la mia prima esperienza con Vertigo. Nonostante tutto, credo che rimanga intatta la fascinazione di poter lavorare, da autori, su personaggi e con altri autori, famosi e non, che continuano a far sognare i lettori di tutto il mondo.
Sei uno dei primi disegnatori italiani a superare l’oceano e a sfondare negli stati uniti, cosa mi può dire del tuo percorso?
Come dicevo, attualmente riuscire a interfacciarsi con gli editor americani è diventato molto più agevole di prima. Per fare solo qualche esempio, la nascita dei forum sul fumetto, delle community di disegnatori e dei blog personali hanno facilitato non poco il modo in cui un autore riesce a proporsi e a far conoscere il proprio lavoro a chi di dovere. Oltretutto gli editor americani ormai viaggiano con continuità all’estero, non solo in Italia, alla ricerca di nuovi talenti, e valutare in prima persona quali sono gli autori più promettenti di ogni singolo paese. E Mantova, per restare in casa, è stata una delle prime fiere in Italia a dare un grandissimo rilievo a questi appuntamenti professionali, ospitando negli anni talent scout di prim’ordine di Marvel e DC, e contribuendo così a lanciare le carriere di tantissimi disegnatori italiani. Io, che ho iniziato con l’autoproduzione nel lontanissimo 1997, ho dovuto invece, insieme al mio compare Matteo Casali, promuovere il mio lavoro portandolo direttamente a casa loro, e più precisamente a New York prima e alla Comicon di San Diego poi, in cui appuntamento dopo appuntamento e anno dopo anno, sono riuscito finalmente a farmi notare e a farmi assegnare il primo, agognatissimo lavoro. Erano davvero tempi diversi, ricordo che i primi appuntamenti vennero presi via telefono e addirittura via fax, e che aprii il mio primo account di posta elettronica, a fine anni ’90, proprio per iniziare a corrispondere più agevolmente con gli editor di oltreoceano. Insomma, a volte quando riparlo di quegli anni mi rendo conto di quanto sia stata pionieristica la nostra esperienza, e comunque proprio per questo forse ancora più bella, proprio perché più rocambolesca, più sofferta. Detto questo però, sarei stato comunque molto contento se ci fossero stati all’epoca i portfolio review di Mantova Comics, mi avrebbero reso la vita molto più facile!
Che consigli daresti ai giovani autori che vogliono affacciarsi al mercato del fumetto e intendono presentare il proprio lavoro a un editor internazionale?
Di comportarsi in maniera impeccabile, curando al massimo ogni singolo dettaglio del portfolio che sottoporranno all’editor di turno. I portfolio review sono occasioni importantissime, e gli editor sono figure professionali da cui non si può prescindere, e che devono essere convinti a dare una chance a chi si sottopone al loro giudizio. E per convincerli, occorre essere, ovviamente, molto bravi nel proprio lavoro (nel segno, nello storytelling, nella cura dei dettagli e degli sfondi, nella personalizzazione del proprio stile etc. etc.), ma anche a livello umano. Insomma, come diceva qualcuno, “la potenza è niente senza controllo”… Se un autore è bravissimo ma non convince a livello umano, difficilmente verrà preso, perché risulterà poco affidabile. L'esperienza poi insegna che paga sempre essere sinceri e onesti sia con se stessi che con l’editor: inutile mentire su quante pagine si riescono a disegnare al mese, per esempio. Insomma, per riassumere, occorre essere professionali e sicuri del proprio talento, senza essere né troppo entusiasti né troppo disfattisti, e cercare di affrontare questi colloqui con molta serenità d’animo, senza darsi per vinti nel caso vadano male (tanto non si tratta mai di “o la va o la spacca”, ci si può e si deve sempre riprovare, mostrando i miglioramenti ottenuti da un incontro al successivo) e senza fare al tempo stesso gli smargiassi se vanno a buon fine. Last but not least, orecchie sempre aperte! Se c'è qualcosa che non funziona nel proprio lavoro, è davvero importante che le critiche che l’editor muove vengano recepite (o anche scritte, meglio ancora) alla perfezione, in modo da poter correggere quello che non va. Non c’è niente di peggio di chi se la prende per un “no” momentaneo, e poi inizia a non ascoltare i preziosi consigli dell’editor, che comunque lo fa sempre e in ogni caso per il bene dell’autore.
Come cambia, in termini tecnici, lavorare per l'America piuttosto che per l'Italia?
Non che io sia espertissimo di lavori italiani, avendo lavorato principalmente per editori americani, ma in termini puramente tecnici direi che non ci sono grandissime differenze, a parte ovviamente la lingua e il fuso orario. L’editor con cui ci si interfaccia, sia esso italiano, americano o francese, ha comunque una professionalità altissima e riconosciuta, e il suo mestiere lo sa fare bene. E il mestiere resta sempre lo stesso in qualsiasi paese: controllare che il livello qualitativo della testata sia elevato, che non ci siano errori, che le scadenze vengano rispettate, puntando ovviamente ad ottenere il massimo da tutti, e cercando anzi di valorizzare e fare risaltare al meglio il talento del singolo autore. In tutti questi anni devo dire che mi sono sempre trovato bene con qualsiasi editor, di qualsiasi paese o casa editrice, con cui ho collaborato, e che ognuno di loro ha contribuito con i suoi consigli, le sue critiche o le sue intuizioni a migliorare il mio lavoro.
Quando ti abbiamo chiesto di realizzare il manifesto qual è stata la tua prima idea, cosa hai pensato di realizzare?
Bé, intanto prima ancora di impostare il Mantova Man, ho cercato di capire quale scorcio di Mantova avrei voluto utilizzare per il mio manifesto. Doveva ovviamente essere un elemento non ancora utilizzato, e al tempo stesso essere rappresentativo della città e adatto al taglio che poi avrei dato all’illustrazione. Ricordo che ne stavo parlando con Christian Borghi [n.d.r Direttore artistico e mente ispirateice di Mantova Comics And Games], e credo che sia stato proprio lui a suggerirmi il Ponte di San Giorgio. In ogni caso, fu un’idea azzeccatissima, perché credo che la “skyline” di Mantova, che si affaccia da quel lato sul lago quando si attraversa il ponte per arrivare in città, sia molto suggestiva e al tempo stesso riconoscibilissima. Poi ho iniziato a ragionare a come avrei potuto inserire in quel contesto la mascotte della convention. Subito avevo pensato a una posa classica, molto più statica e iconica, quasi da film noir, alla “Sin City” per intenderci, ma ho preferito spostarmi in una direzione più supereroistica e dinamica, per non uscire troppo appunto dal leitmotiv dell’”american dream” di cui sapevo fin dall’inizio.
Che approccio hai scelto per differenziare il tuo eroe da quello dei manifesti passati?
Innanzi tutto avevo un unico punto fisso: non avrebbe volato. Gli ultimi tre poster avevano un Mantova Man volante, il mio sarebbe stato metropolitano, urbano, a contatto con la terra. Come dicevo prima, volevo che indossasse un trench, come il Marv di Frank Miller, o come il John Constantine che ben conosco. Una volta deciso che lo avrei inserito in un contesto meno hard boiled, mi sono spostato su supereroi il meno solari possibile, come Batman o Midnighter, il che andava perfettamente a conciliare tutti questi elementi che volevo assolutamente inserire nella mia interpretazione. Dopodiché, per dare al tutto un ulteriore tocco americano, ho voluto aggiungere il fulmine, l’elettricità, a richiamare comunque in maniera esplicita l’idea di superpotere: a quel punto il mio bozzetto a matita, che stavo nel frattempo definendo progressivamente in base a queste mie suggestioni in successione, era arrivato alla fase finale e ormai definitiva, e per fortuna, almeno per me già buona.
Fulmine e occhialoni da aviatore, spolverino e bandiera U.S.A., che è eroe è quello del sogno americano “all’italiana”?
Come dicevo prima, è un eroe – o piuttosto un antieroe visti i personaggi che lo hanno ispirato – metropolitano, notturno e ruvido. Al tempo stesso è dinamico, deciso, e direi anche elegante, con un occhio di riguardo al dettaglio, pronto a tutto, ma con un occhio alla tradizione, alle radici, che nel nostro caso (oltre al buon Nuvolari che è la fonte d'ispirazione prima del personaggio) direi risalgono al fumetto italiano ma anche all’arte italiana che, come ricordo sempre, dà a noi “artisti” un contributo formativo, stilistico ed estetico di inestimabile valore.
Come definiresti Mantova Man in un aggettivo?
Scattante.
Quanto è stato divertente dare vita al "tuo" Mantova Man?
Moltissimo. Non è stato per niente facile affrontare questo delicato compito, visti anche i quattro autori che mi hanno preceduto, e fare al tempo stesso qualcosa di originale, di diverso e soprattutto personale. Alla fine, però, posso dire in assoluta onestà di esserne molto soddisfatto, perlomeno per quel che riguarda l’impostazione dell’immagine e il design del personaggio, che sento molto “miei” a livello stilistico. Spero davvero che questa mia interpretazione possa piacere ai tanti visitatori di Mantova Comics & Games, ma anche ai Mantovani che la vedranno affissa ai muri della loro splendida città.
Work In Progress
Fase 1: l'idea. L'immagine che vedete è sia un punto di arrivo che di partenza. Di arrivo perchè è stato praticamente modificato almento dieci volte prima che raggiungessi l'effetto e l'impostazione desiderata (purtroppo non ho salvato tutti i passaggi perchè la fase di elaborazione è sempre di getto, quasi furiosa a livello creativo). E di partenza perchè da qui, una volta ricevuta l'approvazione dallo staff di Mantova Comics & Games, ho iniziato a impostare tutto il lavoro di rifinitura successivo. Rispetto a quanto detto sopra, volevo far notare tre dettagli: l'aggiunta dei fogli svolazzanti, a sottolineare ancora una volta l'idea di fumetto e di "American Dream" per gli aspiranti disegnatori, l'effetto elettrico del fulmine che nella bozza si diffondeva anche sull'asfalto (e che poi ho preferito levare, per evitare che si pensasse a una distruzione del Ponte), e lo spazio vuoto lasciato dietro la skyline di Mantova, che già avevo previsto di riempire con la bandiera americana, sia nel cielo che riflessa nei due fazzoletti di lago a lato del ponte.
Fase 2: matite. Come potete notare, qui "semplicemente" sono andato a definire, a ripulire e a compattare la forza grezza del bozzetto.
Fase 3: mezzetinte. A questo punto, avendo già più o meno deciso che non avrei inchiostrato il pezzo, sono andato ad aggiungere a pennello dei toni di grigio. Volevo che risultassero molto materici, in modo da amalgamarsi poi bene con la successiva colorazione, che avrei fatto a Photoshop. Col mouse, sottolineo, perchè io la penna ottica ancora non la so gestire. Infatti ci ho messo una vita...
Fase 4: colore di base. Avevo già deciso che avrei dato una tonalità azzurrina al pezzo, in modo che si amalgamasse con il fulmine, e che al tempo stesso questo potesse staccare in quanto bianco. Facendo alcune prove di tonalità, sono poi andato a virare la matita verso una tinta marrone, che mi pareva più calda e adatta alla colorazione successiva del semplice grigio grafite.
Fase 5: tinte piatte. Su un livello separato, sono andato a riempire le singole masse, scegliendo i colori di base di ogni elemento, dal guanto alla sciarpa, dall'asfalto alle mura della città.
Fase 6: luci e ombre. Necessarie a dare maggiore tridimensionalità e forza al personaggio. Oltre a questo, potrete notare che sono stati riempiti i fogli volanti (ho utilizzato, per dirla tutta, dei miei bozzetti per vere tavole a fumetti che avevo da parte), e che è stato sfocato lo sfondo, per accentuare il senso di profondità e di distanza della città.
Fase 7: settaggi finali. Qui come potrete notare sono stati aggiunti il fulmine, e, sempre col bianco a "bucare" lo sfondo, gli effetti di luce sulle lenti del Mantova Man. Un po' riflesso, un po' emanazione diretta di energia, volevo fortemente che anche gli occhi del nostro eroe risaltassero prepotentemente. Inoltre, ho di nuovo lavorato su livelli, saturazioni e "ciappini" di Photoshop per ottenere la colorazione e il contrasto che desideravo come impatto definitivo.
Fase 8: the "American Dream". Ecco il tocco finale: l'aggiunta verticale della bandiera americana, a riempire il cielo su Mantova, e a riflettersi sull'acqua. Decisa fin dalle fasi iniziali, solo in chiusura è stata inserita a completare il tutto. E poi la mia firma, aggiunta digitalmente nel punto più adatto. Desidero in questa sede ringraziare Fabio D'Auria e Mauro Corradini, che sono i "resident" dello Studio Gioco Duro per quel che riguarda la colorazione e la grafica, che in più di un'occasione mi hanno aiutato e guidato durante la lavorazione. Senza di loro, non ci sarei mai "saltato fuori" (come si dice qui a Reggio Emilia).